Addio al sogno londinese dei giovani italiani

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Addio ai Lavoretti a Londra: Il Sogno degli Italiani Post Laurea negli Anni 2000

di Giuseppe Miccoli

Fino a pochi anni fa, per un giovane italiano fresco di laurea il sogno londinese era a portata di mano. Nei primi Duemila bastavano un biglietto aereo e una carta d’identità per trasferirsi a Londra. Molti partivano con un inglese stentato ma tanta voglia di fare esperienza: arrivati sul posto si mantenevano con lavoretti umili – dal servire ai tavoli come cameriere al fare la babysitter per famiglie locali – imparando la lingua sul campo mentre pagavano l’affitto di una stanza condivisa. Era quasi un rito di passaggio: lavori modesti per sopravvivere, utili a vivere la grande città sperando un giorno di fare il salto verso un’occupazione più qualificata.

Non era tutto rose e fiori, certo. La Londra dei nostri giovani emigrati significava turni massacranti, stipendi risicati, alloggi affollati e la nostalgia di casa sempre in agguato. Molti laureati si ritrovavano precari all’estero, a lavare piatti nonostante i loro titoli. Eppure quella fatica aveva il sapore della libertà e della crescita. Grazie alla libertà di movimento europea, chiunque poteva tentare la sorte: un volo low cost in mano e la prospettiva di reinventarsi altrove senza troppa burocrazia. Londra era un crocevia aperto dove l’entusiasmo trovava spazio e perfino gli errori diventavano lezioni di vita.

Oggi tutto questo sembra appartenere a un’altra epoca. Con la Brexit e le nuove regole migratorie britanniche, quel percorso spontaneo è diventato inaccessibile. La fine della libera circolazione impedisce ormai di partire all’avventura in cerca di lavoro. Per trasferirsi oltremanica serve in anticipo un contratto di lavoro qualificato, un buon inglese e un visto già approvato. In pratica, chi oggi sognasse di fare il cameriere a Londra per imparare la lingua si scontrerebbe con un muro burocratico: senza un contratto con stipendio alto e un’azienda disposta a sponsorizzare il visto, le porte del lavoro britannico restano chiuse. Quella classica esperienza “zaino in spalla e buona volontà” non è più possibile: l’epoca dei viaggi improvvisati e dei lavoretti trovati bussando ai pub si è conclusa bruscamente.

Resta una nostalgia per quell’entusiasmo di allora, mescolata a indignazione per le barriere di oggi. In pochi anni siamo passati da frontiere aperte a un regime di visti che spegne i sogni di tanti ragazzi. L’Europa offriva ai giovani la possibilità di formarsi e allargare gli orizzonti; ora nuove muraglie burocratiche lo impediscono. E a perderci non sono solo i ragazzi italiani privati di quell’esperienza, ma anche Londra stessa, orfana dell’energia e dei talenti che per decenni hanno alimentato il suo fascino cosmopolita. Denunciare queste nuove barriere significa dare voce a una generazione che vede svanire un percorso di crescita e autonomia. Il sogno londinese dei giovani italiani, ieri così vibrante e libero, oggi sopravvive solo nel rimpianto, soffocato da un confine alzato in nome di una falsa sovranità.

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