Assarmatori: “Navi italiane cambiano bandiera. Flotta con bandiera estera cresciuta al 40,8%”

Un numero crescente di navi armate da armatori italiani ha cambiato bandiera“. A dichiararlo è stato Stefano Messina, presidente di Assarmatori, nel corso dell’assemblea annuale.

Lo dicono chiaramente i dati dell’Unctad riferiti a unità con stazza lorda superiore alle 1.000 tonnellate. La parte della flotta che fa capo ad armatori italiani, ma che batte bandiere estere, è cresciuta al 40,83% del totale, contro una quota che nel 2021 era ancora del 36,43%. E la scelta di registrare all’estero la nave – aggiunge – non predilige le bandiere di comodo ma bandiere europee, come Malta, Cipro, Finlandia e Portogallo che garantiscono una burocrazia semplice“.

Dobbiamo pensare seriamente all’Africa quale l’orizzonte naturale del nostro futuro. Noi sosteniamo il Piano Mattei. Noi armatori, ed in generale noi operatori del trasporto e della logistica siamo i supplier, il presupposto per lo scambio di beni e servizi, siamo i fornitori del Paese e della sua industria. Ogni settimana – dichiara Messina – decine di navi approdano e ripartono dai porti italiani per collegare regolarmente gli scali di tutto il bacino Mediterraneo, dall’East Med (Turchia, Egitto), al Nord Africa (Libia, Tunisia, Algeria), al West Med (Marocco), andando anche oltre Suez e oltre Gibilterra. Nessun Paese dell’Unione Europea è meglio collegato all’Africa dell’Italia. Questo patrimonio di integrazione logistica ed infrastruttura mobile e flessibile, che non è facilmente replicabile, è posto al servizio del Paese. E non c’è dubbio che l’Africa sia fondamentale per sviluppare la nostra economia, un’opportunità anche per rendere possibile la transizione energetica, per regolamentare l’immigrazione, per favorire la collaborazione e la pace in un Continente martoriato eppure ricco di potenzialità e di risorse. La nostra collocazione geografica ci pone dunque al centro delle rotte che contano e sono proprio i servizi operati con navi Ro/Ro che saranno cruciali nel crescente traffico tra l’Unione europea e il continente che tutti gli analisti vedono come deputato alla maggiore crescita economica“.

Complessi i rapporti con l’Ue: “L’Unione Europea ha errato nel ricomprendere tali servizi nel regime Ets poiché tale regime pone un rischio clamoroso al Paese. Onerando il trasporto marittimo di una tassa supplementare, il pericolo concreto è quello di assistere ad un ritorno alla strada del traffico trasferito al mare negli ultimi vent’anni. Sarebbe una beffa: per oltre 20 anni in Italia si è investito per incentivare il trasferimento modale con evidenti benefici in termini di riduzione delle emissioni CO2, di riduzione inquinamento atmosferico ed acustico e congestione stradale, facendo diventare una strutturata realtà i servizi delle Autostrade del Mare di cui oggi il nostro Paese è leader nel Mediterraneo“.

L’utilizzo di biofuel, ed in particolare di biodiesel, di ultima generazione rappresenta una risposta immediata al tema della transizione energetica dello shipping. L’Italia ha una potenzialità produttiva interna estremamente rilevante, che va a sommarsi a quella che importanti industrie nazionali stanno costruendo in Paesi terzi. Gli armatori sono pronti a sperimentare, nell’ottica della decarbonizzazione, tutte le tecnologie futuribili e ad usare i carburanti sostenibili che si profilano – ha sottolineato Messina – Ma non sono gli unici attori: l’industria di terra deve fare la sua parte, sviluppando i tipi di combustibile e garantendone l’adeguata produzione. È quindi il governo che deve attivare il dialogo tra i protagonisti di questa rivoluzione: l’industria energetica, aziende pubbliche e private, i distributori e depositari portuali, e gli armatori oltre agli attori pubblici dall’Agenzia delle Dogane alla nostra Amministrazione di bandiera in primis“.

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