Australia dice stop: vietati i social ai minori di 16 anni

Australia dice stop: vietati i social ai minori di 16 anni
di Giuseppe Miccoli
In un’epoca in cui i social media sono diventati parte integrante della quotidianità, l’Australia ha scelto di invertire la rotta. Con una decisione senza precedenti, il parlamento ha approvato una legge che vieta l’accesso ai social network per i minori di 16 anni, imponendo alle aziende tecnologiche l’obbligo di implementare sistemi rigorosi di verifica dell’età.
La nuova normativa arriva a seguito di un crescente allarme sociale e sanitario sull’impatto delle piattaforme digitali sulla salute mentale degli adolescenti. Numerosi studi internazionali, infatti, evidenziano un legame tra l’uso precoce e prolungato dei social e l’aumento di disturbi d’ansia, depressione, bassa autostima e isolamento sociale nei più giovani.
Secondo quanto stabilito dalla legge, le piattaforme digitali – da TikTok a Instagram, da Snapchat a YouTube – dovranno bloccare l’accesso agli utenti sotto i 16 anni, a meno che non venga fornito un consenso verificabile da parte dei genitori o tutori legali. Inoltre, i contenuti ritenuti “a rischio” dovranno essere filtrati o limitati, al fine di ridurre l’esposizione a stimoli potenzialmente dannosi, come body shaming, cyberbullismo, contenuti violenti o sessualmente espliciti.
La norma ha ricevuto ampio sostegno parlamentare e un consenso diffuso tra genitori, educatori e professionisti della salute mentale. Ma non sono mancate le critiche, soprattutto da parte di attivisti per la libertà digitale e dei colossi tech, che la considerano una misura eccessivamente restrittiva e difficilmente applicabile.
Uno dei punti più controversi è proprio la verifica dell’età, che richiede l’adozione di strumenti tecnologici avanzati e solleva interrogativi sulla tutela della privacy. Come garantire che i dati forniti siano sicuri? E come impedire ai minorenni più determinati di aggirare le restrizioni?
Nonostante le criticità, l’Australia si candida a diventare un laboratorio globale di regolamentazione digitale, aprendo un fronte normativo che potrebbe essere seguito da altri Paesi. La scelta è chiara: la protezione dell’infanzia viene prima della logica del mercato.
In un mondo in cui tutto passa dagli schermi, vietare l’accesso ai social ai più giovani non è solo una legge: è un segnale culturale. Un invito a ripensare i tempi, i modi e i limiti dell’esposizione digitale. E forse anche a restaurare uno spazio di crescita non mediato, non performativo, più umano.