Bambini con il telefono o con i colori?

di Giuseppe Miccoli

Al ristorante, oggi, si assiste a una scena sempre più familiare. Da un lato, bambini con il telefono in mano, assorti nello scorrere video o a fissare un cartone che li ipnotizza. Dall’altro, su altri tavoli, bambini che aprono un astuccio con i colori, tirano fuori un foglio e iniziano a disegnare figure, case, animali, spesso tra le risate dei genitori che li incoraggiano. Due immagini che convivono nello stesso spazio, due modi diversi di vivere l’attesa e l’infanzia.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: è tecnologia o arretratezza? La risposta, in realtà, non è così semplice. Lo smartphone è percepito da molti genitori come una soluzione rapida: tiene i bambini tranquilli, riduce il rischio di capricci, concede agli adulti un momento di tregua. Ma il prezzo nascosto è la passività: lo schermo intrattiene senza richiedere sforzo creativo, cattura l’attenzione in modo totalizzante, spegne il dialogo.

Il foglio e i colori, invece, richiedono immaginazione. Un disegno non è mai solo un disegno: è una storia che prende forma, un modo per raccontarsi, un invito al confronto con chi siede accanto. La carta non offre la velocità di un video, ma regala lentezza, manualità, sorpresa. E anche se può sembrare “vecchio stile”, ha un valore educativo che non andrebbe archiviato come residuo del passato.

Non tutti i bambini hanno uno smartphone, non tutti i genitori li affidano alla tecnologia. In molte famiglie resiste l’abitudine di portare in borsa matite e quaderni, come se fosse un antidoto silenzioso alla colonizzazione digitale. Non è nostalgia, è una scelta culturale precisa: difendere spazi di autonomia dalla logica dello schermo pervasivo.

Il confronto tra bambini con il telefono e bambini con i colori non è, quindi, una lotta tra modernità e arretratezza, ma tra due modi diversi di pensare il tempo e l’educazione. Da una parte, la tecnologia che offre intrattenimento immediato e totale; dall’altra, la creatività analogica che lascia spazio all’imprevisto e al pensiero.

C’è anche un dato simbolico. I disegni spesso finiscono appesi sul frigorifero di casa, diventano memoria condivisa, testimonianza di un pomeriggio o di un pranzo in famiglia. Un video visto a tavola, invece, scompare appena si spegne lo schermo: non resta traccia, non resta racconto. Il foglio diventa memoria, il telefono resta consumo.

Naturalmente, non si tratta di demonizzare lo smartphone: i bambini cresceranno comunque immersi nel digitale e dovranno imparare a conoscerlo. La sfida non è scegliere in modo radicale, ma trovare un equilibrio. Perché se da una parte la tecnologia semplifica la gestione della quotidianità, dall’altra il rischio è di togliere ai più piccoli la possibilità di annoiarsi, inventare, costruire da soli il proprio immaginario.

La vera modernità, allora, non sta nell’aderire ciecamente alle novità né nel rifugiarsi nostalgicamente nel passato. Sta nel dare ai bambini la possibilità di vivere entrambi i mondi, imparando che la creatività può nascere da una matita come da un’app, ma che non deve mai ridursi a un unico canale.

Forse la domanda non è se sia meglio il telefono o i colori, ma se siamo capaci, come adulti, di offrire un’alternativa, un tempo diverso, una scelta consapevole. Perché la tecnologia non è arretratezza né progresso di per sé: è uno strumento. E come ogni strumento, dipende da come lo usiamo.

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