Brexit, crolla l’export via porti dalla Gran Bretagna all’Europa

Cala come una mannaia l’effetto Brexit sulle esportazioni britanniche verso l’Ue, almeno su quelle via mare: primo contraccolpo immediato a un nuovo regime di controlli amministrativi non solo penalizzante in sé, ma affrontato forse con colpevole impreparazione.

A denunciarlo sono i trasportatori isolani della Road Haulage Association (Rha), che riunisce l’industria del settore trasporto merci, evocando nel mese di gennaio – il primo dopo la fine della transizione post divorzio e l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio sulle relazioni future firmato in extremis alla vigilia di Natale da Londra e Buxelles, con corredo di norme comunque più restrittive rispetto al passato – un crollo del 68% della movimentazione portuale merci verso il continente a paragone del gennaio 2020.

In una lettera inviata al ministro Michael Gove, responsabile del dossier del post Brexit, e fatta trapelare sull’Observer, domenicale del progressista Guardian, la Rha accusa il governo Johnson – che da parte sua mette apertamente in dubbio il presunto meno 68% – d’aver sottovalutato la situazione, ignorando gli allarmi sui potenziali intoppi in arrivo lanciati “per tempo” dagli operatori. E avverte che il peggio potrebbe ancora arrivare, tenuto conto che da luglio scatteranno pure i nuovo controlli in entrata per gli importatori, che il Regno Unito ha potuto rinviare in forza dell’introduzione di “un periodo di grazia” di 6 mesi.

Senza contare il combinato disposto degli effetti di questa rivoluzione con gli ostacoli e i rallentamenti determinati dall’emergenza Covid, fra controlli sanitari obbligati e contrazione complessiva delle economie. Le indicazioni della Rha, contenuti nella missiva inviata a Gove il primo febbraio, si basano su consultazioni condotte fra gli associati.

Furiosi, si legge nel testo passato all’Observer, per l’insufficiente adeguamento da parte dell’esecutivo delle strutture di controllo ai passaggi frontalieri dei maggiori porti del Regno: dove gli addetti sono saliti a 10.000 contro i 50.000 chiesti dai trasportatori per far fronte agli intoppi della nuova realtà in modo più spedito. Non solo, esportazioni a parte si profilano anche altri guai, tuona il direttore della Rha, Richard Burnett, al giornale: a cominciare dal fatto che un 65-75% di tir e autoveicoli vari in arrivo dai Paesi tornano al momento a suo dire indietro semivuoti per il blocco temporaneo di alcune merci dirette tradizionalmente in Gran Bretagna.

La polemica si somma a quella di altre categorie, come i pescatori e i commercianti di prodotti ittici (scozzesi in primis) ai quale la transizione verso il modello di commercio ‘a ostacoli’ post Brexit, ha causato perdite pesanti sul vitale mercato europeo: essendo ogni ritardo fatale alle loro merci, rapidamente deperibili. Mentre il numero uno dell’Associazione dei porti britannici, Richard Ballantyne, afferma di considerare “grossomodo” sensati i dati forniti dalla Rha, a giudicare da un’osservazione per ora ad occhio delle attività portuali. Interpellato dallo stesso Observer, un portavoce di Gove liquida viceversa come inattendibile il riferimento al meno 68% dell’export portuale e dice di “non riconoscere l’impatto di questa cifra”.

Nelle ultime settimane, ammette, “vi sono state perturbazioni ai confini, ma finora minime. E il movimento complessivo delle merci sta ormai di nuovo tornando vicino alla normalità malgrado la pandemia da Covid-19”. Saranno i prossimi mesi a decretare più chiaramente torti e ragioni.

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