Canada silenziato: Meta spegne le notizie. La legge C-18 e la vendetta dell’algoritmo

di Giuseppe Miccoli
Le notizie spariscono da Facebook e Instagram. Non per un blackout tecnico, ma per una scelta politica – o meglio, algoritmica – di Meta. In risposta alla legge C‑18, conosciuta come Online News Act, l’azienda di Zuckerberg ha deciso di bloccare la visualizzazione e condivisione di contenuti giornalistici su tutte le sue piattaforme canadesi. Il gesto, clamoroso, è una ritorsione contro un provvedimento del Parlamento democraticamente eletto.
La legge, approvata con l’intento di riequilibrare il rapporto tra big tech e media tradizionali, impone alle piattaforme di negoziare compensazioni economiche con gli editori per l’uso dei loro contenuti. Una forma embrionale di tassa sui link, che riconosce il valore informativo (e commerciale) della produzione giornalistica, troppo spesso cannibalizzata dai social media.
Meta, per tutta risposta, ha scelto il pugno duro. Ha spento le notizie. Letteralmente. Ha smesso di indicizzarle, di mostrarle nei feed, di consentirne la condivisione. Un blackout informativo costruito non con la censura, ma con l’indifferenza. Un algoritmo che fa silenzio.
Di fronte a questa manovra, i principali gruppi editoriali canadesi – tra cui CBC e Globe and Mail – hanno interrotto ogni forma di pubblicità su Facebook e Instagram, lanciando una protesta che ha avuto eco anche fuori dal Paese. Non era solo uno scontro commerciale. Era una battaglia per il controllo dell’informazione.
Chi decide cosa può o non può circolare nella sfera pubblica? I parlamenti o le piattaforme? Gli editori o gli ingegneri del machine learning?
Il caso canadese non è isolato. Già in Australia, nel 2021, Meta aveva minacciato (e temporaneamente attuato) un blocco simile. Ma quello che accade ora assume i contorni di una sfida sistemica: i giganti digitali sono pronti a oscurare interi settori di contenuti pur di non piegarsi alle regole democratiche.
E tutto questo mentre le piattaforme rivendicano neutralità. Ma non c’è nulla di neutrale nel decidere cosa mostrare e cosa no. Ogni algoritmo è una forma di potere invisibile, tanto più pericoloso quanto più si dichiara imparziale.
Il Canada, con la sua legge, ha provato a mettere ordine. Ma ha scoperto quanto sia fragile la sovranità nazionale nel tempo del capitalismo digitale. Non basta legiferare. Bisogna affrontare il nodo più profondo: le infrastrutture private sono oggi i nuovi spazi pubblici, e i cittadini vi si muovono come utenti, soggetti a Termini e Condizioni che nessuno ha votato.
Mentre in Europa si discute di Digital Markets Act e AI Act, e negli Stati Uniti si moltiplicano gli interrogativi sulla responsabilità delle piattaforme, il caso canadese suona come un avvertimento: non esiste democrazia piena senza democrazia digitale.
E finché il nostro accesso all’informazione dipenderà dai capricci di un algoritmo proprietario, nessuna legge sarà davvero sufficiente.