Dieci virali e 24 regole d’oro: la ricetta della comunicazione digitale

Communication Village ha diffuso una rassegna che sembra una dispensa universitaria in formato infografica: dieci formati virali, ventiquattro regole da seguire o evitare, quindici strategie per il funnel di marketing. Una sorta di ricetta universale per orientarsi nella giungla dei social. L’impressione è chiara: bastano check-list e numeri magici per governare l’attenzione.
Ma davvero è così? Il rischio della semplificazione estrema è evidente. Nel ridurre la comunicazione a una serie di passaggi preconfezionati, si perde la dimensione umana, politica e culturale dello scambio. Il “post virale” diventa feticcio, come se il successo fosse un’equazione matematica e non l’esito di un intreccio complesso tra contenuto, contesto e comunità.
Le liste funzionano perché danno sicurezza. Dieci mosse per crescere, dodici errori da evitare, cinque tecniche per aumentare i follower. Ma la realtà sfugge sempre, e l’algoritmo non si piega a un prontuario. Inseguire la ricetta perfetta può produrre un effetto paradossale: omologazione, standardizzazione, rumore.
Eppure le infografiche restano affascinanti: condensano il sapere, rassicurano l’ansia dei marketer, offrono un’illusione di controllo. È un linguaggio che funziona in un’epoca di ipervelocità, dove leggere un lungo articolo sembra un lusso e la sintesi visiva diventa regina. Il problema non è usarle, ma prenderle per verità assolute.
Dietro ogni trucco per catturare l’attenzione c’è però una questione più profonda: che cosa stiamo comunicando? Qual è il valore sociale, culturale, politico dei nostri contenuti? Ridurre tutto a “engagement” significa accettare che la comunicazione sia puro consumo. Invece dovrebbe essere ancora — ostinatamente — scambio, relazione, costruzione di senso.
La vera sfida non è trovare l’infografica giusta, ma restituire spessore umano alla comunicazione digitale. Dietro ogni like c’è una persona, dietro ogni follower una storia, dietro ogni visualizzazione un frammento di tempo. Pensare al pubblico non come a una metrica, ma come a una comunità viva. È qui che la comunicazione diventa politica, nel senso di polis: costruzione di spazio comune.
Allora sì, ben vengano le “24 regole d’oro”, ma a patto di non dimenticare che l’oro vero non sta nel seguire una lista, ma nel trovare la propria voce. In un’epoca che premia l’imitazione, la resistenza più radicale è ancora l’autenticità.
Giuseppe Miccoli