Facebook e X tra loop pubblicitari e nostalgie algoritmiche

di Giuseppe Miccoli
Se Instagram e TikTok inseguono la fusione tra intrattenimento e commercio, Facebook e X, ad agosto 2025, giocano un’altra partita: quella della manipolazione sottile, fatta di algoritmi che rimodellano percezioni, costi e abitudini. Due piattaforme che, pur muovendosi in direzioni diverse, finiscono per raccontare lo stesso scenario: un ecosistema digitale dove la comunicazione è sempre più filtrata dal calcolo economico.
La novità più visibile arriva da Facebook, che decide di intervenire sul formato pubblicitario breve. Da questo mese, infatti, tutti i video ads sotto i 30 secondi vengono ripetuti automaticamente in loop, prolungando la loro durata complessiva fino a 90–180 secondi. L’obiettivo dichiarato è aumentare le probabilità che lo spot resti impresso nella memoria dello spettatore. Ma dietro questa scelta si nasconde una logica meno neutra: il tempo dell’utente diventa materia prima da spremere, anche a costo di forzare la ripetizione.
L’illusione di velocità e immediatezza, cifra tipica della comunicazione digitale, si rovescia così in un’esperienza di esposizione forzata, in cui il contenuto torna ciclicamente sullo schermo fino a diventare ineludibile. È la stessa logica della pubblicità televisiva, traslata nel feed e resa invisibile dal meccanismo algoritmico. Con una differenza: in TV si poteva cambiare canale, su Facebook la fuga è più complessa, perché il contenuto è già innestato nel flusso personalizzato.
Se Facebook spreme la memoria, X, l’ex Twitter di Elon Musk, sceglie invece di disciplinare la creatività pubblicitaria. Ad agosto è stata introdotta una regola tanto bizzarra quanto rivelatrice: gli annunci troppo ricchi di emoji saranno penalizzati, con costi più alti e punteggi qualitativi più bassi. Una scelta che sembra voler imporre sobrietà in un ecosistema abituato a comunicare con simboli e iperboli visive. Ma dietro l’apparente estetica della misura si intravede il solito calcolo: guidare gli inserzionisti verso uno stile “più redditizio” per la piattaforma, scoraggiando ciò che potrebbe sembrare spam o disordine agli occhi dell’algoritmo.
Non solo. X ha lanciato anche nuovi strumenti di verifica dell’età basati su intelligenza artificiale, promettendo maggiore sicurezza. Una mossa che però apre a interrogativi inquietanti: fino a che punto i nostri dati biometrici o comportamentali diventeranno merce di scambio per accedere a una piattaforma sociale? La sicurezza come alibi del controllo, l’età come dato da monetizzare.
Infine, Musk ha rilanciato l’idea della rinascita di Vine in versione AI, senza fornire dettagli concreti. Una mossa che gioca sulla nostalgia di una generazione che ha visto nascere i micro-video come forma di espressione e che oggi li consuma in infinite varianti. Vine torna come fantasma evocato per accendere curiosità e attenzione mediatica, ma resta da capire se ci sarà davvero un progetto o solo un’operazione di branding.
In questo agosto 2025, dunque, Facebook e X mostrano due volti complementari della stessa realtà. Da un lato, l’algoritmo che ripete ossessivamente lo spot fino a scolpirlo nella mente; dall’altro, il padrone della piattaforma che decide cosa è estetico e cosa no, chi può accedere e a quale prezzo. In entrambi i casi, l’utente è ridotto a spettatore passivo, ingranaggio di un sistema che trasforma il tempo e l’espressione in valore economico.
La domanda che resta sospesa è sempre la stessa: fino a che punto continueremo a considerare “innovazione” questi aggiustamenti che restringono i margini di libertà? Se la creatività diventa regolata e la memoria forzata, il rischio è che il social non sia più spazio di relazione, ma solo un palinsesto pubblicitario travestito da conversazione.