Folco Quilici e la Sicilia. I suoi luoghi ed il ricordo di alcuni protagonisti dell’ambientalismo siciliano
Di M. Laura Crescimanno
A Palermo era venuto moltissime volte, e mai si rifiutava di concedere interviste, di parlare del mare. Come quando venne a Palazzo dei Normanni a presentare una delle sue ultime fatiche cinematografiche, il film documentario sui marmi dell’ antica Roma dal titolo “L’ Impero di Marmo,” al traguardo dei suoi settant’ anni ormai superati. Era convinto con ottimismo, confermato dai suoi occhi celesti profondi, che Palermo avrebbe ripreso il suo cammino di capitale culturale al centro del Mediterraneo.
Nemmeno allora nascondeva il gusto del contatto con il pubblico e la soddisfazione di parlare del suo lavoro, un lavoro che lo aveva portato a scoprire il mondo ed a comunicare con le immagini le sue immense emozioni. Autore di una sterminata mole di immagini, trecento film al suo attivo distribuiti dai canali culturali tv europei, cortometraggi, reportage, romanzi e saggistica di grande successo, Quilici ha legato molti dei suoi lavori cinematografici alle più grandi firme europee nei settori delle scienze della terra, nella ricerca antropologica e nella cinematografia subacquea, di cui era stato pioniere.
Era stato insignito, insieme ai grandi protagonisti del mare nei primi anni sessanta, del Tridente d’Oro di Ustica, il nobel del mare, insieme a Mayol, Cousteau e perfino Walt Disney. Aveva lavorato con autori come Sciascia, con cui realizzò il documentario magistrale “La Sicilia vista dal cielo” che anticipava l’ efficacia dell’ uso dei droni di oggi, ( ma era stato girato tutto con telecamere dall’ elicottero ndr). In contatto con scrittori del calibro di Calvino, Praz, ed antropologi come Braudel, archeologi come Moscati, e Tusa. La cultura era stata sempre il suo punto di partenza e di riferimento. Al centro del suo universo e dei suoi interessi tuttavia c’è sempre il mare, il Mare Nostrum in particolare come scrigno di segreti e di civiltà. Quilici aveva lavorato a lungo in Sicilia e nel siracusano, che definiva a “naturale destino mediterraneo” come il suo capoluogo, Palermo, che aveva definito città soggetto, e mai oggetto della storia.
Alla domanda sul futuro della comunicazione e sul predominio di internet nelle nostre vite, aveva risposto di credere di più’ alla realtà fisica che a quella virtuale, pur ammettendo però che la tecnologia virtuale avrebbe consentito cose prima inaudite. ”A mio avviso a fronte di una facilità della comunicazione la qualità dei contenuti è andata indietro – spiegava già vent’ anni fa con lucidità di visione, affermando che chi ha un approccio con Internet deve essere consapevole che non si confronterà con un contraddittorio, nella rete si finisce per divulgare un messaggio culturale più povero e chi riceve le informazioni non è affatto preparato culturalmente ad interpretarle.
Era molto legato alla città di Siracusa, dove era stato anche da ragazzino, lì aveva lavorato per molti anni nell’ ambito del progetto Orao alla catalogazione dei beni culturali del distretto barocco che è una realtà storico- artistica unica al mondo. Sul fronte della fruizione del mare e dei suoi tesori, approvava e sosteneva le iniziative di ricerca e divulgazione della Sovrintendenza del Mare diretta dal professor Sebastiano Tusa, definendola una realtà senza eguali in Europa.
Corretta la filosofia – spiegava – del lasciare in mare i reperti dell’ antichità, spiegava, come si sta facendo alle isole Egadi con la realizzazione degli itinerari archeologici subacquei. Solo il mare li custodisce al meglio e ce li restituisce dopo secoli ancora intatti, come indica del resto anche l’Unesco.
Tra i molti protagonisti dell’ ambientalismo siciliano con cui era in contatto,il ricordo del soprintendente Sebastiano Tusa che lavorò a stretto contatto con Quilici in molte occasioni: “Ricordo il meraviglioso periodo trascorso a Pantelleria quando sotto la sua direzione girammo un documentario sulla storia millenaria dell’isola. Li lo conobbi approfonditamente e compresi la sua grande umanità. Riusciva a dirigerci senza far pesare la sua grandezza e la sua immensa esperienza. Non era autoritario, anzi affabile e comprensivo, ma estremamente autorevole agendo sempre con grande naturalezza. Ciò che mi colpì fu la sua continua curiosità verso la natura e l’uomo. Eppure di mondo ne aveva visto, ma anche un’inezia del paesaggio, un banale comportamento umano lo interessava e ne traeva spunto per acute osservazioni che riusciva poi a tradurre in splendide immagini e descrizioni sobrie ed efficaci. A differenza di tanti grandi del suo calibro era umile e disponibile creando, in tal modo, un grande alone di simpatia e disponibilità in chi lo incontrava”.
Franco Andaloro, presidente Wwf Sicilia che lo ebbe come direttore dell’ Icram ricorda: ”Subito ci legò un rapporto forte fuori dal lavoro, con l’ entusiasmo dei ragazzini. Ci vedevamo a SanVito sulla sua barca ormeggiata con a bordo la moglie Anna, donna attenta, forte e protagonista nella sua vita di mare. Parlavamo di mare, cambio climatico, tonni, relitti, specie aliene. Nulla sfuggiva alla sua attenzione, come le vicende dei pescatori che trovavano a quei tempi le mine in mare e le smontavano per ricavare esplosivo per la pesca, e come queste cattive pratiche fossero costate perfino la vita a qualcuno di loro”.
Il direttore dell’ AMP di Ustica, Titta Livreri, lo ricorda come un grande sempre schierato dalla parte dle mare e mai dagli interessi : “Folco l’ho incontrato nel 1993. Facevo la Valutazione d’Impatto Ambientale per la condotta sottomarina del depuratore di Taormina e Giardini Naxos, e notando la mia passione nel cercare un percorso meno impattante mi disse: “tranquillo, il mare raramente perdona gli errori, ma mai, mai, dimentica gli ardori”.