Ritorno all’essenziale. I “dumb phones” della Gen Z come rifiuto della trappola digitale

Ritorno all’essenziale. I “dumb phones” della Gen Z come rifiuto della trappola digitale

di Giuseppe Miccoli

C’è una nuova tendenza che si fa spazio tra le vite iperconnesse e lo scroll compulsivo: la Gen Z sta riscoprendo i telefoni “stupidi”. Sì, proprio loro. I cellulari con tasti fisici, schermi in bianco e nero e zero notifiche push. Telefono e SMS. Al massimo una sveglia. E basta. Un ritorno all’essenziale, che sa più di rivolta silenziosa che di nostalgia.

È la reazione a un sistema che chiede presenza costante, attenzione totale, velocità senza tregua.
Dopo anni di feed infiniti, ansia da comparazione, e l’insonnia algoritmica imposta da TikTok e Instagram, una parte della generazione più digitalizzata di sempre ha deciso di disconnettersi per scelta. E lo fa non con app di benessere digitale o pause temporanee, ma con un gesto netto: cambiare il dispositivo.

In una società dove tutto è notificato e schedato, scegliere un Nokia del 2004 diventa un atto politico. Un piccolo sabotaggio all’economia dell’attenzione. Un dire “no” all’invasione permanente nella propria sfera mentale. È minimalismo tecnologico, ma anche autoconservazione.

Le aziende lo hanno capito: stanno tornando sul mercato modelli con funzionalità base, batteria eterna e nessun accesso ai social. Sono chiamati light phones, ma pesano tantissimo nel dibattito sulla salute mentale, sulla sovraesposizione e sulla libertà personale.

Perché la questione non è solo tecnica. È culturale, antropologica, politica. La tecnologia ci ha promesso connessione e ci ha lasciati inchiodati allo schermo. Ora, una parte della gioventù prova a scendere da quel treno. Non perché odia la tecnologia, ma perché vuole scegliere come usarla.

Non è un rifiuto del progresso, ma un ripensamento dei suoi costi. E forse, in un’epoca dove ogni click è monetizzato, la vera ribellione è non cliccare affatto.

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