I giovani tra disillusione social e ritorno alla genuinità

di Giuseppe Miccoli
Mentre le piattaforme affilano algoritmi e nuove funzioni, ad agosto sono le persone – soprattutto i più giovani – a lanciare i segnali più interessanti. Il panorama culturale globale racconta infatti di generazioni che oscillano tra disincanto, protesta silenziosa e ricerca di autenticità, con tendenze che vanno dalla finanza fai-da-te alla nostalgia per uno stile di vita domestico e rassicurante.
In Australia esplode il fenomeno dei “finfluencer”, influencer non qualificati che dispensano consigli finanziari senza alcuna base professionale. Dai video motivazionali sulle “money affirmations” fino a oggetti simbolici come le “get rich candles”, si promettono scorciatoie verso la ricchezza, mescolando superstizione, marketing e retorica motivazionale. L’Agenzia di vigilanza finanziaria ASIC ha già avviato indagini e lanciato un allarme: seguire i consigli di questi profeti digitali può avere conseguenze disastrose per i risparmiatori. È la dimostrazione che i social non sono solo intrattenimento, ma strumenti che possono incidere direttamente sulle scelte economiche delle persone, alimentando illusioni di prosperità rapida in un’epoca segnata dall’incertezza.
Parallelamente, un sondaggio condotto in più paesi ha mostrato un dato sorprendente: oltre la metà della Generazione Z vorrebbe che i social media non esistessero. Il 67 % li considera dannosi per la salute mentale, e più di un quarto ha già provato una digital detox. Non si tratta di un rifiuto ingenuo della tecnologia, ma di un segnale forte: i nativi digitali, cresciuti dentro le piattaforme, sono anche i primi a percepire il peso dell’iperconnessione, l’ansia da performance, la fatica del confronto costante. È un desiderio di fuga che rivela un paradosso: i giovani non cercano solo connessione, ma anche silenzio e distanza, spazi non mediati da algoritmi e notifiche.
E mentre alcuni cercano di spegnere i social, altri li usano per sognare un mondo più semplice. Su Pinterest, infatti, è esploso il fenomeno della “Martha Stewart aesthetic”, con un aumento del +2 889 % nelle ricerche legate a orto, vita domestica e stile rustico. Non si tratta di una moda banale: dietro la riscoperta dell’orto, della cucina casalinga e del design “country” c’è la nostalgia di un tempo meno frenetico, un rifugio simbolico contro l’accelerazione digitale. È il bisogno di ritrovare genuinità, praticità e bellezza rassicurante, in un’estetica che mescola manualità, natura e quotidianità lenta.
Questi tre segnali – i finfluencer, la disillusione della Gen Z, l’esplosione della nostalgia domestica – non sono scollegati tra loro. Insieme raccontano una tensione diffusa: tra l’illusione di scorciatoie digitali e il bisogno di tornare a forme di vita più autentiche. Da un lato, i social continuano a spingere modelli di successo immediato e consumo compulsivo; dall’altro, emergono resistenze culturali che vanno nella direzione opposta, verso il rifiuto o la riscoperta di pratiche quotidiane semplici.
La contraddizione è evidente. I colossi tecnologici investono miliardi per trattenere gli utenti nei loro ecosistemi, ma proprio le nuove generazioni – quelle che dovrebbero garantire il futuro delle piattaforme – cominciano a manifestare un distacco radicale. Vogliono meno schermi, meno ansia, meno algoritmi. Vogliono più realtà.