Giovani e social: l’identità tra schermo e solitudine

 Una realtà difficile da ignorare: gli adolescenti vivono una relazione sempre più problematica con i social media. L’ansia cresce, la depressione dilaga, la percezione di sé si incrina. I ragazzi passano ore sugli schermi, ma spesso ne escono svuotati, non arricchiti. Lo scroll è anestesia, non relazione.

In questo quadro, parlare di “nativi digitali” appare ormai riduttivo. Non basta nascere con uno smartphone in mano per saperlo gestire. La verità è che i social hanno colonizzato l’immaginario dei giovani, imponendo standard di bellezza, successo e felicità che pochi possono sostenere. Il risultato è un burnout identitario: sentirsi sempre inadeguati, sempre fuori posto.

La scuola fatica a rispondere, le famiglie arrancano. Spesso ci si limita a interventi superficiali: qualche lezione sull’uso responsabile, campagne contro il cyberbullismo. Ma il problema è più profondo: i ragazzi non hanno bisogno solo di regole, hanno bisogno di senso. Devono imparare che la loro identità non è un algoritmo, non è un filtro di Instagram, non è un like su TikTok.

Eppure i social non sono solo minaccia. Possono diventare spazi di espressione, di creatività, di comunità. La chiave è l’educazione critica. Insegnare a distinguere tra contenuto e messaggio, tra immagine e realtà, tra audience e comunità. Mostrare che dietro l’apparente spontaneità dei post c’è sempre una costruzione, un’intenzionalità, spesso un interesse economico.

La questione è politica: chi governa l’immaginario dei giovani governa il futuro. Per questo l’educazione ai media non può essere opzionale. Non è un’abilità tecnica, ma un diritto democratico. E gli adulti — insegnanti, genitori, comunicatori — hanno la responsabilità di accompagnare, non di giudicare. Non dire “stacca il telefono”, ma chiedere “che cosa stai cercando in quello schermo?”.

Il rischio più grande è normalizzare il dolore. Far finta che sia normale vivere nell’ansia di non essere abbastanza “likeable”. Non lo è. Ed è qui che la politica, l’educazione, la cultura devono intervenire. Perché dietro ogni scroll compulsivo c’è un ragazzo che chiede attenzione, riconoscimento, ascolto.

La sfida dei social non è solo tecnologica, è antropologica. Si tratta di decidere se vogliamo una generazione di consumatori stanchi o di cittadini consapevoli. Aprile 2023 ci ricorda che il tempo è ora.

Giuseppe Miccoli

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