I fondali di Lampedusa sono dei “cimiteri subacquei”: recuperate altre 120 imbarcazioni

Pezzi di legno, motori di barca, fasciame, detriti di ogni genere, veri e propri relitti. Il fondale del porto di Lampedusa è ormai da anni un cimitero subacqueo per le barche usate dai migranti durante le loro traversate.

Dopo il maltempo che nei giorni scorsi ha causato il disormeggio e l’affondamento di numerosi relitti, l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli di Stato ha concluso ieri l’ennesima attività di ricerca, recupero e smaltimento delle imbarcazioni affondate o alla deriva. Si tratta di 120 barche.

Una situazione drammatica che crea notevoli difficoltà alla sicurezza marittima oltre all’elevato rischio ambientale, a causa di carburanti e rifiuti tossici.

Dai dati dell’ADM si registra un aumento delle imbarcazioni recuperate e smaltite, che sarebbero più del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un dato strettamente collegato alle oltre 250 imbarcazioni recuperate tra agosto e settembre scorsi.

La situazione è stata denunciata più volte, anche da note associazioni come Mareamico, che più volte si è battuto a difesa dell’ecosistema messo a serio rischio. I detriti, inoltre, sono molto pericolosi per la navigazione dei pescherecci e delle imbarcazioni da diporto, parte fondamentale dell’economia dell’isola 

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