La meraviglia smarrita

Dalle panchine di provincia all’algoritmo globale: come l’accesso istantaneo alle informazioni ha desertificato le relazioni e spento il desiderio
C’erano una volta le panchine del paese. Gremite d’estate, silenziose d’inverno. Ci si sedeva per chiacchierare, osservare, aspettare. Era lì che nascevano i primi amori, che si mettevano in moto i timidi riti del corteggiamento adolescenziale. Il sabato pomeriggio le città si animavano: si camminava per il centro, si entrava al Blockbuster per vedere le ultime uscite o ci si sfidava in sala giochi. Era il tempo della scoperta lenta, dell’incontro casuale, del desiderio che si costruiva passo dopo passo.
Nella provincia palermitana, dopo la maturità, molti ragazzi lasciavano il paese per andare a studiare all’università a Palermo. Un rito di passaggio, quasi obbligato. E in tanti, da lì, non tornavano più. Le comunità si svuotavano piano piano, tra partenze silenziose e ritorni sempre più rari. Ma almeno, in quel movimento, c’era ancora una direzione, un senso, un’idea di futuro.
Poi sono arrivati gli smartphone, la rete veloce, la connessione perpetua. E tutto è cambiato.
Oggi abbiamo tutto a portata di clic. La domanda non si pone più: si digita. Non si attende più: si ottiene. Una persona? Googlabile. Un’emozione? Simulabile. Un’esperienza? Disponibile in streaming. La relazione umana è diventata un’interfaccia da scorrere, un avatar da interpretare. E la sorpresa, la meraviglia, l’inaspettato – cioè ciò che costituiva l’anima dell’incontro – si è dissolta.
Certo, in quegli anni a cavallo tra analogico e digitale nessuno immaginava che la festa sarebbe finita così presto. Si respirava ancora un senso di benessere diffuso, una fiducia nel futuro. Poi la crisi economica del 2008 ha spazzato via certezze e speranze. E nel vuoto lasciato dal disincanto, la tecnologia ha trovato il suo habitat ideale.
Il punto non è demonizzare l’accesso immediato alle informazioni. Il problema è l’effetto collaterale: l’incapacità crescente di attribuire valore a ciò che non costa fatica. Quando tutto è disponibile, nulla è davvero desiderabile. La novità non eccita più, è routine. La ricerca si è appiattita in scroll compulsivi, l’attesa è diventata fastidio, la profondità un’eccezione.
Siamo diventati collezionisti di stimoli, incapaci di fermarci sulle cose semplici. Una frase detta guardandosi negli occhi. Un silenzio condiviso. Un’idea che cresce nel tempo.
Non è nostalgia, è constatazione. La piazza digitale ha sostituito quella fisica, ma ha perso la capacità di generare appartenenza. Lì dove una volta si rimorchiava con uno sguardo, oggi si matcha con un like. Ma in quel passaggio — apparentemente innocuo — si è smarrito qualcosa. Forse l’essenziale.