Dalla tv ai social, come è cambiato il nostro modo di sapere che un Papa è morto

di Giuseppe Miccoli

«È morto Papa Francesco».
Una notifica sul telefono, un tweet di un’agenzia, un post condiviso su Facebook, una storia su Instagram. Così, molti di noi hanno appreso la notizia della morte del pontefice argentino. Non dalla televisione, non da un annuncio solenne del cardinale camerlengo in mondovisione, ma da una marea di contenuti digitali – flash, reactions, reel, meme già pronti – che in pochi minuti hanno occupato il nostro spazio visivo e mentale.

Nel 2005, quando morì Giovanni Paolo II, il flusso fu opposto. Ci sedemmo davanti alla televisione. Rimanemmo lì, inchiodati all’attesa, mentre le immagini di Piazza San Pietro scorrevano lente. Il mondo si fermò a guardare. Oggi, invece, il mondo scrolla.

Non c’è nostalgia in questa osservazione, ma una consapevolezza: è cambiato tutto. A distanza di vent’anni, non è solo il modo in cui apprendiamo la notizia ad essere mutato, ma anche il nostro rapporto con essa. Nel 2005 c’era il tempo dell’elaborazione collettiva. Oggi c’è la reazione immediata, l’istantaneità del commento, la competizione della memoria in 280 caratteri.

Papa Francesco è stato il primo Papa social, in tutti i sensi. Il primo a twittare, il primo a usare Instagram, il primo ad essere rappresentato – e talvolta strumentalizzato – da influencer, vignettisti, attivisti digitali. E ora anche il primo la cui morte è stata vissuta in tempo reale su TikTok, mentre scorrevano video commemorativi con sottofondo di Ennio Morricone e caroselli di citazioni apocrife.

La Chiesa cattolica ha sempre avuto un rapporto ambivalente con i media. Il potere della parola e il controllo del messaggio sono stati per secoli elementi fondanti dell’autorità ecclesiastica. Ma con l’avvento del digitale, il messaggio sfugge, si moltiplica, si frammenta. Il Vaticano può parlare, ma non può più decidere il ritmo della narrazione. Quando Papa Francesco è morto, il suo volto era già ovunque, prima ancora che il portavoce ufficiale avesse terminato la dichiarazione.

Cambia anche il lutto. Se nel 2005 ci fu un silenzio planetario, quasi mistico, oggi il dolore è filtrato dagli algoritmi. Il cordoglio è espresso sotto forma di engagement: un like, un cuore, un commento, una condivisione. Ci si emoziona attraverso uno schermo, ma quell’emozione viene subito incasellata nel flusso dei contenuti successivi.

Il passaggio tra questi due eventi – la morte di Giovanni Paolo II e quella di Francesco – segna simbolicamente il transito da un’epoca in cui la Chiesa era mediatrice della verità a una in cui la verità è immersa nel rumore del mondo connesso. Un cambiamento che non riguarda solo i fedeli, ma tutti noi. Perché anche il nostro immaginario collettivo si è digitalizzato.

E allora, forse, il lutto non è solo per un Papa. Ma per un tempo che non c’è più. Un tempo in cui la morte di un pontefice era un evento che univa, sospendeva, faceva tacere. Oggi è un trend, un hashtag, un reel virale.

Eppure, in mezzo al rumore, c’è ancora chi si ferma. Chi cerca il silenzio, anche solo per un istante, per dire grazie.
Grazie, Francesco.

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