La verità disconnessa

di Giuseppe Miccoli

Una notizia non è più vera, è virale. In questa logica si muove oggi l’informazione sui social media, dove la cronaca è diventata competizione, la verifica un ostacolo, la velocità un dogma. È quanto emerge dal report pubblicato il 14 agosto 2023 dal PIRG (Public Interest Research Group), che analizza il modo in cui la disinformazione su TikTok, Instagram e altre piattaforme stia ridefinendo le regole del giornalismo.

L’informazione non è morta, ma è sotto assedio. Le notizie vengono consumate a scorrimento verticale, frammentate in clip di 15 secondi, svuotate di contesto e spesso ricostruite in base a ciò che “funziona meglio” con l’algoritmo. Le redazioni inseguono i trend, non i fatti. I titoli diventano esche. La verità, un’opzione.

PIRG documenta come i social, nati per connettere, siano diventati incubatori di notizie false, manipolate o fuori contesto. Un video virale su TikTok, in cui si sostiene che i vaccini “contengano microchip”, ha raggiunto più persone di una settimana di pubblicazioni scientifiche dell’OMS. E il problema non è solo il contenuto, ma la logica che lo premia: la viralità batte la responsabilità.

L’Ordine dei Giornalisti, in un approfondimento dello stesso mese, ha evidenziato come i social stiano erodendo le competenze critiche, soprattutto tra i più giovani. Il mito del “nativo digitale” come esperto è stato smentito: usare i social non equivale a saperli leggere, tanto meno a distinguere una notizia verificata da una manipolata.

La colpa non è solo dei social. È del sistema mediatico nel suo complesso, che spesso si piega alle logiche del mercato: più traffico, più pubblicità, più sopravvivenza. Alcune testate, pur storiche, si sono trasformate in fabbriche di breaking news non confermate, che vengono poi smentite in fondo a un aggiornamento invisibile. Il tutto mentre le redazioni si svuotano e l’intelligenza artificiale inizia a scrivere i titoli.

Ma c’è un punto ancora più profondo: sta cambiando il rapporto tra cittadino e verità. In passato, la notizia era un atto pubblico, che imponeva confronto, dibattito, coscienza. Oggi è un contenuto personalizzato, cucito addosso ai propri interessi, alle proprie paure. La verità diventa opinione, e l’opinione diventa prodotto.

Eppure, nel cuore di questa crisi, esistono anche segnali di resistenza. Piccole redazioni indipendenti, gruppi di fact-checking, progetti scolastici di alfabetizzazione mediatica. Realtà che tentano di restituire senso al racconto, di riportare la notizia al suo ruolo originario: servizio pubblico.

Il giornalismo non può vincere nella giungla algoritmica con le stesse armi dell’influencer marketing. Serve ricostruire un’ecologia dell’informazione, che rimetta al centro il lettore, la lentezza, la responsabilità. Dove il tempo di una verifica valga più del tempo di una notifica.

Finché l’informazione sarà governata dai numeri, la verità resterà minoranza. Ma proprio per questo, oggi più che mai, serve un giornalismo che non abbia paura di essere impopolare.

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