L’AI entra nei social: il caso ChatGPT su Snapchat

Con l’annuncio dell’integrazione di un chatbot AI basato su ChatGPT, Snapchat ha fatto un passo che molti altri social seguiranno. L’intelligenza artificiale non è più solo strumento di moderazione o generazione di contenuti, ma diventa compagna di dialogo personale.
L’idea è chiara: un assistente sempre disponibile, pronto a suggerire risposte, consigliare ristoranti, scrivere messaggi. Una presenza costante, quasi un amico artificiale.
Ma qui nasce il problema: che cosa significa parlare con una macchina come se fosse una persona? Le conversazioni rischiano di diventare simulazioni, mentre la spontaneità cede il passo a risposte preconfezionate.
La promessa è di arricchire le interazioni. Ma il rischio è normalizzare l’idea che l’umano e l’artificiale siano intercambiabili. Se i giovani crescono parlando con un algoritmo, cosa succederà alle relazioni reali?
Snapchat ha aperto una porta che altri apriranno presto. Meta, Google, Microsoft: tutti scommettono sull’AI sociale. Ma non è una scelta neutrale. Significa ridisegnare il modo stesso in cui ci relazioniamo.
L’AI può essere utile, certo. Può rendere più semplici i gesti quotidiani. Ma la comunicazione non è solo utilità: è emozione, conflitto, imprevisto. Un algoritmo non litiga, non sbaglia, non sorprende davvero. E proprio lì, nell’imperfezione, sta l’umano.
Il rischio è che la comunicazione online diventi un’eco automatica: tante parole, poche conversazioni. E un paradosso: più strumenti per parlare, ma meno parole autentiche.
Giuseppe Miccoli