Le strade parallele di Europa e Sicilia non si incrociano sulla pesca, non è più tempo di promesse da “marinaio”
L’8 e il 9 giugno si torna alle urne ed è già tempo di bilanci. In questi anni di mandato tanti sono stati gli impegni a cui il Parlamento, il Consiglio e la Commissione europea sono stati chiamati a intervenire, risultando in alcuni casi anche determinanti. L’ultimo lustro è stato certamente uno dei più complessi e articolati, con i paesi del vecchio continente costretti a interfacciarsi con le scosse dettate dalle ripercussioni economiche della Brexit, poi del covid, dalla guerra tra Russia e Ucraina e le tensioni nel Mar Rosso.
Il settore ittico, già condizionato dalle sue fragilità, soprattutto lungo le coste meridionali, inclusa la Sicilia, ha subito il colpo e ha provato ad aggrapparsi alla pioggia di aiuti forniti dall’Ue. Se da un lato si tende la mano verso Bruxelles, dall’altra la fiducia verso l’Europa si affievolisce davanti a misure stringenti, unilaterali e incapaci di cogliere le eccezionali diversità che contraddistinguono l’Atlantico, il Baltico e il Mediterraneo, facendo di tutte un’erba un fascio. Tali acque hanno poco in comune e differiscono sia nelle tradizioni, sia nelle tecniche di pesca, sia nelle catture. E così, con il passare degli anni, a essere penalizzati sono state sempre di più i piccoli borghi e le marinerie, compresse da norme stringenti, una burocrazia articolata e soffocante e la concorrenza sleale dei paesi stranieri che si affacciano sulle stesse acque.
Filo conduttore delle politiche Ue sono state la sostenibilità e il traguardo “zero emissioni“, che con il tempo hanno acquisito maggiore consenso, scalando la classifica delle priorità. Temi, però, che a sorpresa si sono rivelati spinosi e divisivi, più di quanto ci si potesse immaginare. La causa? L’incapacità delle istituzioni di riuscire a comprendere e individuare le diverse peculiarità di un comparto ampio e variegato come quello della pesca.
Il faro è stato la tutela dell’ecosistema marino, già messo a dura prova dagli stress causati dai cambiamenti climatici, che hanno permesso l’approdo di specie aliene come il granchio blu (giusto per citare il più famoso), e dai ritmi di pesca eccessiva, ma anche di frodo, che ne hanno alterato l’habitat. Un’attenzioni particolare è stata rivolta alle aree marine protette. Gli incrementi più sostanziosi sono stati tra il 2019 e 2020, rispettivamente pari al 76% e all’80%. In occasione della Giornata del mare, il Wwf ha dimostrato come nel Mare Nostrum, protetto solo per l’8,33%, è possibile fare di più, soprattutto visti i notevoli vantaggi che queste comportano, non solo per la biodiversità ma anche per l’uomo. In Sicilia attualmente si contano le aree marine di: Capo Gallo-Isola delle Femmine, Ustica, Isole Egadi, Isole Pelagie, del Plemmirio, Isole Ciclopi e capo Milazzo.
Se l’Isola è tra le regioni d’Italia che, almeno sulla carta hanno più a cuore le proprie acque, è anche quella che più di tutte soffre le restrizioni sullo strascico, destinato a scomparire entro il 2030. A serio rischio ci sono la pesca d’altura e la cattura del gambero rosso e di conseguenza l’economia di sussistenza di zone con una precisa vocazione come Sciacca, Portopalo di Capo Passero, Porticello o Mazara del Vallo, dove operatori del settore e associazioni in estate avevano espresso la paura di veder sgretolare sotto i propri occhi la storica marineria, a rischio estinzione in pochi anni. Il Piano d’Azione ha assistito a non poche opposizioni e lo scorso 9 maggio, in occasione della Giornata dell’Europa, le organizzazioni si sono riunite facendo risuonare all’unisono le sirene dei pescherecci lungo le coste italiane e delle marinerie europee per mostrare il profondo dissenso sul bando degli attrezzi mobili di fondo e relative restrizioni proposte dalla Commissione, amplificate sui social con l’hashtag #SOS_EU_Fishing.
Come in quest’ultima occasione, i pescatori non hanno fatto mancare le loro prese di posizione, alzando la voce nei momenti più complessi, come il caro carburanti e l’impennata dei costi per mantenere le imbarcazioni, alcune delle quali ritenute ormai obsolete e non all’interno dei parametri Ue. Gli anni più caldi, in tal senso, sono stati certamente il 2021 e il 2022. A dicembre 2021 la marineria di Lampedusa aveva persino dichiara lo stato di agitazione, per poi annunciano lo stop delle attività il marzo successivo, seguendo l’esempio di altre piazze come Sciacca. Il malumore aveva invaso tutta la Sicilia, da Siracusa a Porticello, da Scoglitti a Licata, e a cavallo di giugno aveva raggiunto Roma. Ma non solo. Più volte è stato necessario spostare l’attenzione anche su lacune irrisolte, come la salute e la sicurezza a bordo. Ultimo, ma non per importanza, il corteo di oltre cinquemila operatori agricoltori, allevatori e pescatori svoltosi a Palermo e giunto fino al palazzo della Regione meno di due mesi fa. Le richieste? Il credito d’imposta del 35% sul gasolio, i pagamenti dei fermi pesca obbligatori in tempi certi e celeri, il riconoscimento di un compenso economico per il periodo di fermo pesca obbligatorio previsto per il sistema di pesca “strascico”, oltre le giornate aggiuntive e il riconoscimento di lavoro usurante con conseguente richiesta di accorciare l’età minima di pensione
Al momento però i pescatori sono i protagonisti anche di un’altra vicenda, quella che concerne il Regolamento sui controlli. La norma rende obbligatorio l’utilizzo da parte dei pescherecci di strumenti di controllo elettronico a distanza, in particolare telecamere a circuito chiuso (Cctv) e la registrazione elettronica delle catture. Lo scorso marzo, dopo l’approvazione nonostante la netta opposizione dell’Italia, il Governo, su proposta del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, ha depositato il ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Restano dunque tante le questioni aperte e su cui l’Europa, anche dopo il voto di giugno, dovrà continuare a interrogarsi, cercando di trovare soluzioni condivise e percorribili per tutti in egual modo. Oltre la già citata questione dei cambiamenti climatici, una fra tutte resta quella dell’occupazione giovanile. Il dato siciliano fa certamente riflettere: solo il 10% della forza lavoro è costituita da giovani con meno di 35 anni, mentre il 40% ha più di 55 anni. Invertire la rotta e trasformare quest’ultimi numeri è l’unico modo per garantire una prospettiva e una visione di futuro più rosea. Un’altra sfida abbraccia la nuova tecnologia e la diffusione dell’intelligenza artificiale. Esempi virtuosi in giro per il mondo hanno dimostrato come le nuove frontiere possano offrire una sostanziale mano di aiuto, permettendo al comparto di scoprire nuovi orizzonti. E chissà che quest’ultime non possano rivelarsi efficaci anche per arginare il rischio estinzione di alcune specie. L’ultimo campanello d’allarme in Sicilia riguarda per esempio i ricci di mare e lo scorfano nero. Gli interventi adottati dalle politiche Ue, tra cui la ripartizione delle quote pesca, hanno permesso di salvaguardare simboli del Mediterraneo come il tonno rosso. Trovare la giusta quadra non è stato facile e il perfezionamento di questi strumenti ha permesso il ripopolamento delle acque, permettendo a oggi una maggiore flessibilità nelle catture.