L’era della socialità privata e del marketing invisibile

di Giuseppe Miccoli

C’è stato un tempo in cui i social media erano piazze affollate, teatri di opinione, vetrine di sé. Oggi, a novembre 2023, quel tempo sembra lontano. Le piattaforme si sono fatte più silenziose, più personali, più funzionali. La socialità si ritira nei salotti digitali, mentre il marketing si insinua, sottile, tra le pieghe delle conversazioni.

Non si tratta di una fuga dal capitalismo digitale, ma di un suo raffinamento. WhatsApp, un tempo regno dei messaggi tra amici, oggi è un’arma di precisione per il commercio: cataloghi, chatbot, tracciamento delle interazioni. TikTok Shop fonde storytelling e vendita in un solo gesto: un reel diventa una vetrina, un prodotto, un ordine. Salesforce, colosso del marketing automation, si integra con i social per trasformare ogni like in un lead, ogni conversazione in una scheda cliente.

Intanto, l’utente crede di parlare con gli amici. Le Instagram Notes – piccole frasi che galleggiano sopra la testa dei contatti – sembrano innocue, ma sono parte di un ecosistema che favorisce il coinvolgimento soft. I gruppi Facebook tornano centrali: chiusi, coesi, attivi. Discord, da nicchia geek, diventa spazio di micro-comunità politiche, culturali, commerciali. La comunicazione pubblica si privatizza, e così il controllo diventa meno evidente ma più pervasivo.

È una rivoluzione silenziosa, che ha un impatto profondo: l’identità online non è più esibita, ma relazionale. Non conta quanto sei visibile, ma a chi parli. Non conta quanti follower hai, ma quanta fiducia generi. Le piattaforme lo sanno, e si adattano: facilitano connessioni sincere, solo per monetizzarle meglio.

Non è più il tempo del virale. È il tempo del mirato. E il prezzo della nostra “autenticità” è un algoritmo che ci conosce meglio di noi stessi.

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