Pesca, Coldiretti: “Addio pesce italiano con uscite ridotte a 1/3”

La drastica riduzione delle giornate di pesca ad appena 109 giorni all’anno imposta dall’Unione Europea per il 2022 mette a rischio il futuro della flotta a strascico italiana, il segmento più importante per occupazione e produzione ittica. A lanciare l’allarme è il presidente della Coldiretti Ettore Prandini che ha scritto una lettera al Sottosegretario alla Pesca Francesco Battistoni chiedendo un impegno del Governo per difendere un settore che conta 12mila pescherecci e 28mila posti di lavoro, che si moltiplicano peraltro considerando l’indotto della ristorazione e del turismo.

Il problema è legato al fatto che – spiega Coldiretti – l’Ue stabilisce ogni anno limiti di catture e limiti di tempo per raggiungere l’obiettivo di arrivare a una riduzione del 40% dello sforzo di pesca nel Mediterraneo fissato per il 2026. Per fare ciò si è scelta però la strada di tagliare drasticamente l’effettiva operatività dei segmenti di punta della nostra flotta, in areali strategici come l’Adriatico, il Tirreno ed il Canale di Sicilia, ad un numero di giornate al disotto del “punto di pareggio economico”. La misura, decisa in base alle valutazioni del Consiglio della Pesca nel Mediterraneo è stata peraltro assunta sulla base di dati risalenti a un anno fa, quindi senza sapere se l’effettiva consistenza degli stock ittici giustifica un così drastico taglio.

L’obbligo inoltre va ad interessare solo i Paesi Ue che operano nel Mediterraneo – ricorda Coldiretti Impresapesca -, mentre quelli extraeuropei, dall’Egitto alla Libia, dalla Tunisia fino alla stessa Turchia, che insistono sullo stesso areale non devono rispettare le stesse norme. Una situazione paradossale dove il crack della Flotta Italia farebbe sparire il pesce italiano dalle tavole per fare posto a quello straniero.

“I Piani Pluriennali che interessano tutta la penisola – scrive Prandini – e che prevedono drastiche riduzioni di giornate di pesca, impongono un sistema di attività di impresa rigido ed obsoleto, spesso legato a condizioni quasi impiegatizie della struttura di lavoro vanificando una possibile gestione flessibile, efficiente nonché in piena sicurezza del lavoro delle giornate di pesca da parte dell’impresa. Riteniamo dunque necessario un orientamento politico più ampio – continua il presidente della Coldiretti – che tenga conto della “sostenibilità economica” delle imprese e dei lavoratori, della “sostenibilità sociale” e della tutela dei territori dove le economie che si intrecciano con quelle della pesca impattano sullo sviluppo di vaste aree costiere”.

Il consumo pro capite degli italiani è tra l’altro di circa 28 kg di pesce all’anno – conclude Coldiretti -, superiore alla media europea ma decisamente basso se confrontato con quello di altri Paesi che hanno un’estensione della costa simile, come ad esempio il Portogallo, dove se ne mangiano quasi 60 kg, praticamente il doppio.

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