Scuole in vetrina: l’algoritmo decide chi siamo

Nel marketing scolastico italiano, i social media non sono più un’opzione: sono l’inizio del viaggio formativo. Secondo la newsletter INSIEMI #9 di Education Marketing Italia (giugno 2023), oltre il 9% degli studenti scopre un corso attraverso i social, con Instagram che guida la classifica (oltre il 30%), seguito da Facebook (28%) e LinkedIn (18%). Numeri che parlano chiaro: la prima scelta educativa si gioca ormai nel feed di uno smartphone.
Un tempo esistevano le fiere dell’orientamento, gli open day, i consigli dei professori. Oggi si naviga tra caroselli sponsorizzati e video da 15 secondi. Il filtro bellezza non serve solo per i volti, ma anche per le scuole: accattivanti, “instagrammabili”, competitive. Non si tratta più di capire cosa si vuole imparare, ma di cosa ci attrae di più visivamente.
Questo fenomeno, che sembra naturale nel mondo digitale, porta con sé una mutazione profonda del rapporto tra studente e istituzione. La scuola diventa un prodotto da promuovere, e l’orientamento si trasforma in una strategia di acquisizione del cliente. Eppure, tra le righe del report, emerge un invito importante: non affidarsi solo alla pubblicità, ma curare anche i contenuti organici.
In altre parole, non basta investire in visibilità a pagamento. Serve un racconto autentico, una narrazione che restituisca la vita reale di una scuola, il valore della didattica, il senso dello stare insieme. Perché il rischio è alto: svendere l’identità formativa sull’altare dell’algoritmo, rincorrere i like invece della qualità, sostituire la relazione educativa con una brand identity senz’anima.
In questo scenario, la comunicazione organica diventa atto politico. Raccontare la scuola per quello che è – senza filtri, senza pose – significa difendere uno spazio critico nella società. Significa scegliere di non trasformare l’istruzione in una campagna pubblicitaria. Perché la scuola non è un prodotto. È una comunità, un processo, una promessa.
Ma chi tutela oggi questa dimensione? I contenuti generati dalle scuole sono sempre più simili a quelli di un’agenzia di viaggi o di un fast food. Si punta su testimonial, effetti visivi, call to action. La domanda “cosa vuoi diventare?” lascia il posto a “dove vuoi cliccare?”.
C’è bisogno di rallentare. Di restituire profondità alla scelta educativa. Di sottrarre la formazione alle logiche del marketing aggressivo. Altrimenti, la prossima generazione non sceglierà la scuola, ma sarà scelta da un algoritmo.