Social media e innovazione: la personalizzazione come gabbia dorata

di Giuseppe Miccoli
Il nuovo anno si apre con un paradosso: i social media continuano a sbandierare “innovazioni”, ma ciò che mostrano è spesso un gioco di specchi, dove ognuno copia l’altro pur di trattenere un pubblico in fuga. Gennaio è stato un mese chiave, segnato da una serie di aggiornamenti che raccontano più il bisogno di sopravvivenza delle piattaforme che un reale salto in avanti.
Instagram inaugura l’anno con Notes, brevi messaggi da 60 caratteri, piccoli status che richiamano il vecchio MSN. Una funzione che dovrebbe restituire intimità, ma che sa di nostalgia programmata. Poco dopo arrivano le Candid Stories, copia dichiarata di BeReal, che vogliono imporre la spontaneità attraverso una notifica casuale. Anche i profili professionali ricevono la possibilità di sapere se i loro contenuti sono “idonei” a essere raccomandati fuori dalla cerchia dei follower: un algoritmo che si trasforma in giudice e pagella della creatività.
Twitter, nel frattempo, rilancia Blue, l’abbonamento a pagamento che promette visibilità maggiore e privilegi per chi può permetterselo. Un modello che sancisce il passaggio da “piazza pubblica globale” a servizio premium, in cui parlare più forte diventa una questione di portafoglio. Non sorprende, dunque, che secondo Basis Technologies la piattaforma rischi di perdere oltre 30 milioni di utenti entro il 2024, travolta dalle scelte arbitrarie di Elon Musk. Un esodo che apre spazio ad alternative come Mastodon, piattaforma comunitaria che immagina un web meno centralizzato.
Altrove, il fermento non manca. LinkedIn annuncia per il 2023 maggiore accessibilità, la possibilità di programmare i post e le Product Pages, con cui guidare decisioni di acquisto. Non più solo vetrina professionale, ma spazio ibrido tra carriera e consumo. Snap, invece, stringe un accordo con Amazon e lancia il “virtual try-on” per occhiali: la realtà aumentata trasforma lo smartphone in un camerino digitale, dimostrando come la socialità si intrecci sempre più con il commercio.
Secondo il rapporto pubblicato da DeRev il 19 gennaio, il 2023 sarà segnato da sette trend principali. Tra questi, la programmazione nativa dei contenuti, la spinta verso un coinvolgimento autentico orchestrato dagli algoritmi, il declino di Twitter e la crescita di TikTok come motore di ricerca alternativo a Google. Il quadro che emerge è quello di un ecosistema dove persino la spontaneità diventa format confezionato, un artificio che serve a rendere più redditizio il tempo speso online.
A completare il mosaico, la rassegna n.138 di Communication Village (6 gennaio 2023) sottolinea il ruolo dei video brevi e virali: YouTube Shorts come terreno di conquista, Instagram come palcoscenico del branding, TikTok come lingua madre della comunicazione veloce. Centrale il confronto tra Reels e TikTok, due universi simili ma con pubblici diversi. Qui il marketing diventa lingua universale, un palinsesto infinito che non conosce tregua: emozioni, empatia, indignazione, tutto ridotto a KPI e metriche di performance.
Gennaio racconta quindi un mondo social in bilico tra declino e metamorfosi. Da un lato, piattaforme storiche come Twitter vacillano sotto il peso di gestioni caotiche; dall’altro, giganti come TikTok e LinkedIn consolidano il proprio potere, imponendo nuove abitudini e nuovi modelli di consumo. In mezzo, gli utenti oscillano tra disincanto e dipendenza, inseguendo un’autenticità che si rivela sempre più prodotto algoritmico.
La sensazione è che l’innovazione non nasca più da un bisogno reale, ma da una competizione senza tregua. I social del 2023 non cambiano per noi, ma per sopravvivere a se stessi.