“Che cosa vuoi fare da grande?” In Cina, la risposta più comune suona ancora come
astronauta (o comunque una professione scientifica di prestigio); in Italia e in gran parte dell’Occidente sempre più bambini rispondono convinti:
“la star di YouTube o TikTok”. Non è solo aneddotica: un sondaggio internazionale lo ha certificato con i numeri. Nel 2019, in occasione dei 50 anni dallo sbarco sulla Luna, è stato chiesto a 3.000 bambini di 8-12 anni in diversi Paesi di scegliere tra cinque mestieri dei sogni (astronauta, insegnante, atleta, musicista o youtuber/vlogger). Ebbene, oltre la metà dei piccoli cinesi ha scelto l’astronauta, mentre tra coetanei britannici e americani la prima scelta è stata lo youtuber (circa un terzo delle preferenze) e l’astronauta è finito ultimo con appena l’11% (
Kids in the US and China Have Starkly Different Career Goals – Business Insider). In Cina
taikonauta è un aspirazione da eroe nazionale; in Occidente l’eroe sembra essere chi accumula follower online.
Negli Stati Uniti, patria delle missioni Apollo di ieri e dei social media di oggi, la tendenza è la stessa:
“I bambini americani tengono più a diventare famosi che ad esplorare lo spazio”, notava amaro
Business Insider, evidenziando come per i ragazzini di oggi conti più un canale YouTube di successo che un viaggio su Marte (
Kids in the US and China Have Starkly Different Career Goals – Business Insider). E l’Italia? Non abbiamo dati identici a portata di mano per i nostri bambini, ma è difficile immaginare differenze sostanziali rispetto ai coetanei d’oltreoceano. Già negli anni 2000 i sondaggi raccontavano di adolescenti italiani attratti dai riflettori facili – allora sognavano di diventare veline o calciatori; oggi l’orizzonte è lo smartphone, ma la logica dell’
apparire è la stessa, amplificata. Nell’era di TikTok e Instagram, “influencer” è diventato per molti under 18 non solo un termine di moda, ma un vero progetto di carriera. Il paradosso è servito: un tempo si guardava alla Luna, oggi si guarda ai
like.
Dalle stelle ai selfie: modelli a confronto
Cosa c’è dietro questa forbice di aspirazioni? La risposta chiama in causa l’immaginario collettivo alimentato in contesti molto diversi. In Cina gli eroi del momento portano tute spaziali, camici scientifici o almeno medaglie olimpiche. Il governo e la società investono enormi risorse in programmi scientifici e tecnologici, celebrando scienziati e astronauti come star. Basti pensare alla recente stazione spaziale Tiangong o alle missioni lunari cinesi, presentate con orgoglio nazionale in grado di ispirare milioni di bambini. Non è un caso se il sistema scolastico cinese martella sull’eccellenza STEM fin dall’infanzia, con giornate scolastiche interminabili e famiglie disposte a tutto pur di vedere i figli primeggiare. I risultati si vedono: nei test internazionali PISA i quindicenni cinesi surclassano regolarmente gli occidentali (l’Italia, ad esempio, nel 2018 si piazzava solo 41esima su 79 paesi in scienze, 32esima in matematica (
According to the PISA 2018 ranking, Italy ranks 32/79 in Maths, 41 …)). In sintesi, in Oriente ai bambini viene trasmesso il messaggio che
studiare paga – letteralmente, visto che le professioni scientifiche garantiscono prestigio sociale e mobilità economica.
In Occidente, e in particolare in Italia, il messaggio dominante pare un altro: apparire paga. Siamo bombardati fin da piccoli da modelli di successo legati all’intrattenimento, alla moda, allo sport spettacolo e oggi soprattutto ai social. Il bambino italiano medio vede ogni giorno youtuber e tiktoker diventare ricchi e famosi mostrando videogame o balletti sullo schermo del telefonino. Come biasimarlo se trova più allettante quel percorso, rispetto a sgobbare sui libri per fare (forse) l’astronauta? Del resto, viviamo in una cultura che premia più l’immagine che la sostanza: i “fenomeni” di Instagram fanno copertine, mentre gli scienziati – quando va bene – vengono relegati a un angolo nei talk show.
C’è anche una differenza concreta nell’
ecosistema mediatico: in Cina l’accesso dei giovanissimi ai social è pesantemente regolato. TikTok (nella versione locale
Douyin) è addirittura programmato per bloccare gli under 14 dopo 40 minuti di utilizzo al giorno (
Douyin, China’s Version of TikTok, Has Imposed a 40-Minute Daily Time Limit on Users Under 14 – Business Insider), e in generale la Grande Muraglia Digitale cinese rende meno accessibili ai minori le distrazioni online. Un tredicenne di Pechino difficilmente potrà passare la notte incollato a video demenziali; più facile che la passi sui compiti assegnati dai suoi severissimi professori. Un tredicenne italiano, al contrario, ha smartphone libero 24 ore su 24 e un oceano di contenuti a portata di tap, spesso senza controllo né da parte dello Stato (che al massimo “consiglia” un uso consapevole) né da parte di genitori, travolti anch’essi dallo tsunami digitale. In breve,
modelli differenti creano
priorità differenti: la Cina cresce figli a pane e disciplina (forse anche troppa), l’Occidente figli a pane e
circo mediatico.
Naturalmente non si tratta di incensare il sistema cinese senza riserve – la pressione scolastica là è altissima e qualche infanzia finisce schiacciata sotto il peso delle aspettative accademiche. Ma qualche domanda dovremmo porsela: stiamo allevando una generazione che punta tutto sulla visibilità, in un mondo dove la competizione tecnologica e scientifica è sempre più accesa. Mentre in Oriente si coltivano eserciti di aspiranti ingegneri e astronauti, qui coltiviamo schiere di aspiranti influencer. Chi avrà la meglio tra qualche decennio? Houston, abbiamo (forse) un problema.
La lezione di Piero Angela: oltre l’apparenza
Di fronte a questo scenario viene in mente la voce – pacata ma decisa – di Piero Angela, il grande divulgatore scientifico recentemente scomparso. Da buon ottimista razionale, Angela non si stancava di ricordare quanto sia fondamentale trasmettere ai giovani la passione per la conoscenza, la curiosità scientifica, il valore dello studio. In più occasioni ha messo in guardia contro la cultura dell’ignoranza travestita da intrattenimento: un paese che dimentica l’importanza della scuola e della scienza, diceva in sostanza, è un paese destinato a rimanere indietro – culturalmente ed economicamente. Difficile dargli torto. Se oggi tanti ragazzi occidentali sognano solo di diventare star del web, la colpa non è certo dei ragazzi: è di una società che ha reso quei modelli i più visibili e desiderabili. La scuola e la comunità adulta hanno il dovere di offrire alternative credibili e attraenti. Ciò significa, da un lato, rinnovare i sistemi educativi: investire sugli insegnanti, sulle materie scientifiche, ma anche sull’educazione ai media, così che i giovani capiscano cosa c’è dietro i like di TikTok e quanto lavoro (o fortuna) serva davvero per emergere. Dall’altro lato, significa valorizzare e raccontare meglio i traguardi della conoscenza: fare dei nostri scienziati, medici, ricercatori degli “eroi” da narrare, proprio come facciamo con gli influencer e i calciatori.
Alla fine dei conti, non c’è nulla di male che un bambino sogni di diventare il prossimo creator di successo – la creatività e l’imprenditorialità fanno parte del progresso. Ma sarebbe bello che, insieme ai sogni di gloria mediatica, i nostri bambini tornassero ad alzare lo sguardo verso orizzonti più alti. Tornare a sognare le stelle non solo quelle sullo schermo, ma quelle vere, nel cielo: in questo c’è il futuro (e un po’ di poesia) che una società matura dovrebbe saper offrire. In caso contrario, il rischio è di ritrovarci con milioni di bravi ballerini di TikTok… mentre altri costruiscono razzi per Marte.