Specie aliene nel Mediterraneo: innalzamento delle temperature, pericoli e nuovi mercati. L’intervista
Uno dei temi più discussi negli ultimi mesi è l’invasione di specie aliene nel Mediterraneo. Sicuramente non si tratta di una novità. Da anni infatti il Mare Nostrum “ospita” animali, ma anche vegetali, nuovi, che si sovrappongono a quelle autoctone. L’innalzamento delle temperature però ha velocizzato drasticamente questo fenomeno. Per approfondire l’argomento e fare luce su alcune questioni, Siciliammare.it ha raggiunto telefonicamente Marco Arculeo, docente del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare all’Università degli studi di Palermo.
“Il fenomeno dell’invasione di specie è stato osservato in tempi non sospetti, nasce prima dei cambiamenti. Negli ultimi anni si è evidenziato maggiormente a causa all’innalzamento della temperatura. Questa estate, almeno nella parte tirrenica, si sono toccati i 29 gradi questa estate. Temperature tipiche del Mar Rosso più o meno. Mentre gli altri anni era 26-27 gradi. Tali temperature, così elevate, favoriscono l’attecchimento e lo sviluppo di queste specie tropicali o esotiche, comunque non mediterranee”. Così ha esordito il professore Arculeo, spiegando come queste specie riescano ad arrivare nelle nostre acque. “Le principali entrate sono due: il Canale di Suez e lo Stretto di Gibilterra. Parliamo quindi di tropicalizzazione, specie che vivono in un’area tropicale ed entrando nel Mediterraneo hanno trovato condizioni idonee. Questo aspetto è ovviamente è più riferito ai cambiamenti climatici”.
“Questa doppia apertura – ha aggiunto – ha aumentato l’introduzione delle specie lessepsiane che arrivano dal Mar Rosso. In più ci sono specie che arrivano dalle cosiddette acque di zavorra, le balance water, le navi che caricano acqua, ad esempio in Giappone o da altre parti, e talvolta può essere scaricata quando arriva nel Mediterraneo. Se vengono caricate delle specie anche queste vengono rilasciate in mare. Poi ci sono quelle specie che l’uomo rilascia accidentalmente, come per esempio attraverso l’acquacoltura. Se sono hanno una buona adattabilità possono attecchire, svilupparsi e riprodursi. Se l’ambiente non è idoneo scompaiono, muoiono”.
Tra i nuovi esemplari osservati in questi anni ci sono il granchio blu, il gambero della Louisiana e il Lionfish. “Non è facile prevederlo a breve termine ma sicuramente l’esplosione del numero di questi individui ha un impatto sia sull’ambiente che sulle altre specie con cui condividono l’habitat in cui vivono. Possono entrare in competizione, ci può essere una cosiddetta esclusione competitiva e alcune specie potrebbero essere sostituite. Come nel caso del granchio blu, entrato da poco, non è facile capire con quali specie può entrare in competizione. Di recente lo abbiamo avvistato in acque dolci o salmastre, lontano dalla linea di costa. Quindi, almeno per questa specie, non possiamo fare delle previsioni”.
La loro cattura si rivela inoltre un’arma utile per ridurre il danno potenziale che potrebbero apportare. Ma “ci sono tante specie non consumabili come il Percnon gibbesi, molto invasivo e compete con altri granchi autoctoni. Con questo tipo di specie non è possibile fare un conto diretto del numero della popolazione degli individui, questo è fattibile per le specie che possiamo utilizzare, le altre no”.
Non solo preoccupazioni ma anche nuovi mercati e nuove frontiere: il granchio blu ne è l’esempio. “E’ una specie di interesse commerciale. Hanno scoperto che è consumabile e adesso ha avere un valore di mercato interessante, soprattutto nell’Adriatico nella laguna di Venezia. Si appresta attorno ai 15-20 euro al chilo”.
I cambiamenti climatici sono diventati un serio pericolo per la biodiversità: ”La biodiversità riguarda la conoscenza di piante e animali in generale, ma prima dobbiamo riconoscerle. Molti animali ci sfuggono e non sappiamo della loro presenza. Ancora non conosciamo le dinamiche. Alcuni animali scompaiono. E’ il caso del pesce trombetta, la fistularia commersonii, altra specie aliena, che per un periodo è stato pescato, anche in maniera molto abbondante nel trapanese, e venduto. Sembra, infatti, che non si abbiano più notizie e che quindi sia scomparso. Ci sono anche altre specie che arrivano nel Mediterraneo, hanno un’esplosione del numero della popolazione e poi, per eventi vari, queste si riducono o scompaiono completamente. Mentre altre crescono e continuano a crescere non sappiamo fino a che punto ed atre si fermano al Canale di Sicilia. Non è semplice fare una netta demarcazione. Su alcune che hanno superato la cosiddetta barriera del Canale di Sicilia ci sono delle segnalazioni non confermate. Vi sono meccanismi di estinzione e di colonizzazione che non sappiamo di preciso a cosa siano dovuti perché non abbiamo la possibilità di studiare questi fenomeni. Uno dei limiti della nostra ricerca – prosegue – è che purtroppo non si investe e i nostri studi sono limitati. E’ molto difficile avere dei finanziamenti ad hoc. Occorre – aggiunge- fare della campagne di monitoraggio in tutto il Mediterraneo non è una cosa semplice. L’investimento è importante, avere tanti punti di osservazione. Spesso l’avvistamento di queste specie nuove avviene da pescatori, anche amatoriali, dai mercati, o dai sub che fanno foto e ce le mandano. Non abbiamo centri di monitoraggio sulla biodiversità”.
Su possibili soluzioni o azioni per contrastare il fenomeno il professore Arculeo ci ha detto che ”non esiste alcuna soluzione se non quella di cercare di ridurre l’impatto attraverso la riduzione delle temperatura ma non è una cosa possibile nel breve termine. Si parla di circa 200 specie nuove nel Mediterraneo ma effettivamente può essere anche un numero sottostimato, possono essere molte di più”.