TikTok e la paura dei governi occidentali

TikTok non è solo un social di balletti e sfide virali. È diventato un fenomeno globale capace di influenzare linguaggi, culture e perfino informazione. Ed è proprio per questo che i governi occidentali lo guardano con sospetto.
La paura è che i dati raccolti possano finire sotto il controllo di Pechino. Una minaccia alla sovranità digitale, dicono a Washington e Bruxelles. Ma c’è di più: chi controlla i dati controlla le persone, chi governa l’algoritmo governa l’immaginario.
Bloccare TikTok non è solo un atto di protezione: è un atto di censura geopolitica. Non riguarda soltanto la sicurezza, ma la possibilità di orientare le generazioni future. I giovani passano ore sull’app, imparano linguaggi e formano identità collettive. Limitare TikTok significa togliere un pezzo della loro quotidianità.
Eppure, i rischi non sono inventati. Il controllo statale sui dati è reale, e il sospetto di manipolazioni politiche non è da sottovalutare. La questione è: come difendere i cittadini senza togliere loro voce?
Il dibattito rivela una contraddizione: da un lato si teme la sorveglianza cinese, dall’altro si accetta quella delle big tech occidentali. La sicurezza diventa pretesto per una battaglia economica e culturale.
In gioco non c’è solo un’app, ma la libertà stessa della comunicazione digitale. Perché vietare TikTok significherebbe normalizzare l’idea che i governi possano decidere quali spazi digitali sono legittimi. E la libertà, una volta ridotta, non torna facilmente indietro.
Giuseppe Miccoli