Twitter/X, disinformazione e pubblicità: la crepa europea nel muro dei social

di Giuseppe Miccoli
Nel giugno 2023, il vento di Bruxelles ha bussato con forza alle porte di San Francisco. Věra Jourová, vicepresidente della Commissione Europea, ha lanciato un avvertimento diretto a Twitter/X: conformarsi al Digital Services Act, la nuova legge comunitaria che impone regole stringenti sulla moderazione dei contenuti, oppure rischiare di trasformarsi in un porto franco per fake news e propaganda.
La tensione non nasce dal nulla. Pochi giorni prima, Twitter aveva abbandonato il Codice di condotta UE contro la disinformazione, un impegno volontario che, pur con tutti i suoi limiti, costituiva un segnale politico di adesione alle linee guida europee. Il ritiro è stato interpretato come un messaggio chiaro: l’autoregolamentazione è un lusso che la piattaforma di Elon Musk non intende più concedere.
E mentre Bruxelles si interrogava sul futuro della regolazione, Media Matters pubblicava un rapporto imbarazzante: accanto a contenuti estremisti e messaggi della destra radicale, apparivano pubblicità di grandi marchi internazionali. Un cortocircuito che mostra la fragilità del sistema di moderazione e la permeabilità degli algoritmi pubblicitari.
Il problema non è nuovo, ma la combinazione attuale è inedita: un colosso globale che riduce gli strumenti di controllo, un aumento dell’attività di network estremisti, e un flusso pubblicitario che, volente o nolente, finanzia questa presenza. Per l’Unione Europea, il DSA è pensato come l’argine; per Musk, sembra più una diga da scavalcare.
Il vero nodo resta aperto: chi controlla il mercato dell’attenzione, controlla anche il mercato delle idee. E quando l’attenzione si mescola al denaro delle inserzioni, il confine tra comunicazione e complicità diventa sottilissimo.