Un po’ francese, un po’araba: Vicari, da “città dei buoi” a scrigno multiculturale | CLICCA PER IL VIDEO
ARTICOLO DI MARIANNA GRILLO
Se non siete mai stati a Vicari, potreste rimanere spiazzati dal siciliano particolarissimo parlato dai suoi abitanti. A differenza di molte altre realtà qui, le molteplici dominazioni che si sono susseguite nei secoli, hanno lasciato più che delle tracce, dei veri e propri solchi. A rivelarne la presenza, il linguaggio, una chiave che sa rivelare aspetti inediti dell’identità di una comunità, anche se complessa e antica come quella vicarese. Non stupitevi quindi se molte parole che sentirete, finiranno in -è: si tratta di un ricordo lasciato dagli angioini. E quando vi offriranno “cuddureddi, cubbaita e cudduruni” ma percepirete un suono della radice più simile a una “Q” che a una “C”, tenete a mente che anche gli arabi hanno lasciato il segno e non solo nella musica delle parole ma anche in piccoli tesori nascosti in punti inaspettati del comune.
UN PO’ DI STORIA…
Abitata almeno dall’ VIII secolo a.C., Vicari conserva testimonianze antichissime. Le tracce della dominazione greca sono attestate dai ritrovamenti di frammenti di vasellame rinvenuti nei pressi dell’attuale castello che sorge su Pizzo Sant’Angelo. In seguito vennero i romani che diedero valore e importanza al maniero e al piccolo paese, in ragione della sua posizione strategica. Ma è con i normanni che Vicari conobbe un periodo di grande splendore. Conquistata dagli arabi, ne conserva una traccia non solo linguistica ma anche monumentale. La Cuba Araba, detta anche Cuba di Ciprigna, era un’antica cisterna costruita in aperta campagna. Oggi, apparirà ai vostri occhi dal nulla. La costruzione, è diventata parte integrante del paese ed è circondata da abitazioni moderne. Un piccolo tesoro nascosto che resiste al cambiamento e la cui bellezza viene enfatizzata ancora di più dal contesto particolare in cui si trova.
L’importanza storico-culturale di Vicari è rimarcata dalla docente Giusy Barbaccia.
Oltre all’insediamento e alla necropoli greca, un altro luogo di grande interesse archeologico risale al periodo bizantino ed è la chiesetta di S. Maria di Boikos, ai piedi della Rocca del castello, vicina all’ingresso principale e abitata da monaci basiliani. Scavi recenti hanno portato alla luce sepolture femminili con un ricco corredo di gioielli. E a proposito di monaci basiliani, in un diploma del 1099 il re normanno Ruggero, ringrazia i monaci bizantini perché, anche grazie alle loro preghiere, era riuscito a vincere gli arabi. Un’altra pagina di storia vicarese, viene raccontata da Michele Amari. Protagonista, l’odiato marchese Giovanni di Saint-Remy vicerè di Carlo D’Angiò. In fuga da Palermo a Vicari, venne ucciso nella porta fausa (cioè nel retro del castello), colpito alla gola da un arcadore di Caccamo. Cacciati gli angioini, venne il tempo degli spagnoli rimasti con i Borbone fino al 1800. Da sottolineare, il valore della maestranza scalpellina e degli indoratori che, con le loro opere e l’utilizzo della tecnica decorativa dell’estofado (ammirabile in alcune statue lignee conservate nelle bellissime chiese di Vicari), impreziosiscono il comune.
Ancora oggi il lavoro artigianale, rappresenta una realtà importante. Non solo ricamo ma, come spiega Gaetano Calato, professore di Musica e Presidente della Pro Loco di Vicari, la manualità locale trova espressione anche nella la realizzazione di alcuni strumenti musicali.
Purtroppo, l’arte del ricamo si sta perdendo ma, i lavori fatti a mano, espressione della maestria dei ricamatori di una volta, vengono conservati gelosamente dai vicaresi. Alcuni di loro continuano a decorare stoffe e tessuti, ricordando e tramandando una passione imparata da bambini guardando le nonne, le zie che , da un disegno realizzavano piccoli capolavori di manualità. A proposito di artigianato, i vicaresi sono famosi in tutto il mondo per il tamburello a cornice.
Il nome del paese di Vicari, ha origini greco – latine. In greco era BOIKOS, BICO, BICARA, mentre in latino veniva chiamata BICCARIS, O BICCARUM ovvero “boaro”, “vaccaro”. Un tempo Vicari era dunque nota come la “Città dei buoi”, indicando quindi una presenza consistente di allevamento e pastorizia. Non è un caso se molti strumenti musicali, siano legati a questa particolarità. La zampogna ad esempio: un otre di capretto usato sia a livello alimentare che musicale e, in tempi remoti anche a scopo difensivo. Con la stessa pelle, si realizzano pelli sonore per tamburelli a cornice. Da un telaio per il setaccio ormai rotto, i pastori s’inventarono uno strumento musicale che oggi viene artisticamente decorato ed intagliato per essere esportato in tutto i mondo. Un’unicità che lo distingue dai “cugini” salentini o marchigiani.
Con L’imprenditore Antonio Schifano e la ristoratrice Rita Fascella, scopriamo l’ eccellenza di alcune materie prime del territorio e alcune curiosità sulla gastronomia locale.
Per Vicari, la mandorla rappresenta, la sua storia, il suo primo raccolto fin dai tempi antichi. Non è un caso se la mandorla vicarese, prende il nome dalle famiglie del luogo che coltivavano la mandorla: la tessitore, la cuti, la favarò. Tuttavia, almeno fino a vent’anni fa, i produttori locali, riscontravano non poche difficoltà nella vendita di un prodotto che paradossalmente era di qualità ma che veniva comunque deprezzato. Per questa ragione molti coltivatori, avevano pensato di estirpare gli alberi del mandorlo dalle loro proprietà terriere. Tuttavia, alcuni di loro, affidandosi a una ricerca di mercato, avevano riscontrato un grande interesse da parte di aziende nazionali e internazionali. Grazie a questo meccanismo, molti produttori hanno continuato a scommettere sulla mandorla ma anche su altri prodotti locali come l’olio, salvando una parte di storia di Vicari. Facendo dei vivai e distribuendo le mandorle ai produttori, si sta cercando di salvare la mandorla e incentivarne la produzione. Da qualche tempo, lo stesso sistema sta interessando la produzione di legumi, in particolare di ceci e lenticchie: un modo per diversificare e avere maggior reddito e, allo stesso tempo, un incoraggiamento e un’opportunità per i giovani che vogliono fare impresa. Del resto, il fascino dei prodotti vicaresi ha già conquistato il nord Europa ma anche Francia e Germania con volumi di richieste interessanti. La mandorla è poi l’ingrediente principale del “passavolante”, il dolce tipico di Vicari. E’ fatto appunto con mandorla tostata, uova, un po’ di farina, zucchero, aromi, cannella e limone. La sua particolarità è la cottura che deve essere molto leggera. Lo si mette al forno dopo aver sfornato il pane, quando la temperatura si è ormai abbassata. Pare che siano stati inventati nel ‘700 dai monaci del convento di San Francesco, a Vicari in occasione del matrimonio della figlia del re. Si racconta che i monaci, non avendo previsto il gran numero di invitati alle nozze, cominciarono a passare velocemente i dolcetti tra i commensali che, per assaggiarli, furono costretti a prenderli a volo. Altro dolce tipico, la cubbaita che si fa per Santa Rosalia, festa patronale di fine settembre. Si tratta di un torrone di mandorla fatto con miele, zucchero e mandorla abbrustolita, un croccante buonissimo. Infine, le ultime due specialità comprese nelle “Tre C” : i cudduruni, una pizza con farina di rimacino , lievitazione naturale, acciuga, pecorino locale, in versione bianca o con un po’ di salsa di pomodoro e le cudduredde, delle ciambelle.
NATALE A VICARI…
Preludio della riattivazione del tradizionale presepe vivente, manifestazione interrotta dal Covid, sarà l’installazione delle luci di Natale. Intanto, sono in campo diversi progetti per la valorizzazione del borgo medievale con investimenti per il ripristino e la tutela della sua storia. Tra questi, percorsi culturali con la nascita di una Pinacoteca a Palazzo Pecoraro – Maggi, grazie all’arrivo di alcune tele in convenzione con la Curia di Palermo più una vicarese.
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