VI Convegno di Archeologia Subacquea: più nanotecnologie per i restauri
“Analizzare e studiare i reperti subacquei e valutare anche alcuni interventi di conservazione con le nanotecnologie, come è stato già fatto qualche mese fa sul relitto della nave di Marausa. In questo modo si potranno tutelare questi importanti beni e preservarli nel tempo. Non escludiamo quindi di poter ripetere le stesse applicazioni sulla nave punica anch’essa, come quella di Marausa, presente al museo Baglio Anselmi di Marsala”. Lo ha detto Roberto La Rocca, archeologo navale della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, illustrando a Palazzo Ciampoli a Taormina (Me), uno dei propositi del “VI convegno nazionale di Archeologia Subacquea – XVI Rassegna internazionale di Giardini Naxos”. Durante l’evento, che durerà fino al 12 Ottobre, è stato anche ricordato il progetto pilota del comitato scientifico, del quale fa parte La Rocca, nato proprio per progettare l’intervento di conservazione della nave di Marausa (nella foto). L’idea è nata su proposta del compianto ex assessore Regionale dei BB.CC. Sicilia Sebastiano Tusa e del coordinatore del GruppoArte16, Giovanni Taormina, ed è stato effettuato dal restauratore Franco Fazzio e da Sabrina Zuccalà amministratore di 4ward360, azienda che ha studiato e sviluppato il formulato nanotecnologico “4wd-wood”, applicato sul relitto.
“La nave romana di Marausa – dice ancora La Rocca – è il relitto di una nave oneraria del IV sec. d.C. recuperata dopo oltre 1700 anni a 150 mt dall’estuario del fiume Birgi. La nave rappresenta uno dei reperti navali più interessanti, in quanto il recupero ha interessato oltre 600 elementi ad opera della Sovrintendenza del Mare della Regione siciliana, che ha affidato la bonifica degli elementi ed il loro restauro alla Società “Legni e segni della memoria” di Salerno. L’intervento non sarebbe stato possibile senza l’interesse e l’abnegazione dell’ex assessore Tusa.
Oltre al restauro c’è stato il trattamento conservativo con le nanotecnologie, come spiega Sabrina Zuccalà, amministratore di 4ward360, che ha sottolineato: “ Sono soddisfatta del risultato ottenuto sul relitto di Marausa. Il mio laboratorio ha studiato e formulato un prodotto specifico per la conservazione, protezione della superficie del relitto dai danni causati dal tempo, dai raggi UV, dagli insetti xylofagi e dalle condizioni ambientali sfavorevoli alle quali può essere sottoposto durante l’esposizione museale.
Ci siamo affidati alla scienza, al fine di ottenere un migliore risultato nell’ambito della ricerca per la conservazione dei beni culturali, soprattutto per quanto riguarda i beni archeologici sommersi da noi presi in esame. Le nanotecnologie applicate al legno, assolvono un compito indispensabile perché creano una nanostruttura di particelle schermanti, di fatto creando una separazione tra il materiale e l’ambiente.
Questa moderna tecnica ha potuto dare questi ottimi risultati per merito della collaborazione scientifica con il Gruppo Arte 16 e con la Soprintendenza della Regione Sicilia, oltre alla eccelsa volontà di innovazione nella tutela dei beni culturali dell’ex assessore Sebastiano Tusa. Siamo certi che potremo estendere in futuro la nostra collaborazione per la tutela di altri reperti importanti ritrovati sott’acqua i quali potranno trarre beneficio da interventi nano tecnologici.
Per dare maggiori risposte alle richieste che ci vengono rivolte dal mondo dei Beni Culturali e Restauro Conservativo, ho creato una nuova realtà all’interno di 4ward360: Heritage Preservation Lab.
Heritage Preservation Lab si occupa esclusivamente della protezione, conservazione e Restauro dei beni culturali, in sinergia con i restauratori e gli operatori del settore italiani, con Heritage Preservation Lab diamo Futuro alla Storia”.
D’accordo anche il restauratore Franco Fazzio, che ha illustrato i benefici ottenuti grazie all’applicazioni nanotecnologiche sul relitto di Marausa, spiegando: “Abbiamo utilizzato questi materiali con un approccio sperimentale, per comprendere se potessero essere efficienti in termini di conservazione. Abbiamo effettivamente raggiunto il risultato sperato, provocando una sorta di idrorepellenza da parte del legno nei confronti dell’acqua, con caratteristiche costanti dei valori di umidità. Abbiamo constatato che il trattamento con i nanomateriali ha provocato nel materiale ligneo un cambiamento della tensione superficiale: ciò ha permesso al legno di non subire un eccessivo apporto di umidità (tale da compromettere la struttura) durante lo scambio di aria con l’esterno, in una situazione analoga a quella che potrebbe verificarsi in occasione di una esposizione museale. Quindi siamo certi dei risultati ottenibili con queste tecniche”.
Durante l’intervento di restauro è stata anche eseguita una scansione Tmc (scansione tomografica) a 128 strati per verificare le condizioni del legno, come ci spiega Giovanni Taormina coordinatore del “GruppoArt16”: E’ la prima volta in Italia che viene effettuata una investigazione scientifica così approfondita su reperti lignei di navi rimasti sommersi per secoli nei fondali marini, per poi giungere ad una ipotesi di intervento conservativo attraverso l’applicazione delle nanotecnologie, sviluppate in funzione di questo contesto dalla 4ward360. Gli esami eseguiti con la TCMS, basati sull’erogazione di un fascio di radiazioni ionizzanti (raggi “X”), hanno consentito di ottenere immagini particolarmente dettagliate di aree specifiche della sezione del legno. Lo studio e l’applicazione poi delle nanotecnologie ha richiesto un’indagine scientifica accurata e scrupolosa al fine di ottenere tutte le informazioni necessarie sullo stato del reperto ligneo, onde evitare che, una volta applicate, elementi biologici, sottoforma di spore, potessero attivarsi. La prima fase esplorativa ha consentito ai tecnici del GruppoArte16 e di 4ward360 di avere una conoscenza sugli elementi esaminati e di potere eseguire ed applicare un test protettivo nano tecnologico”.
“Grazie alla Tmc – sottolinea anche Massimo Midiri, direttore del Dipartimento di Scienze delle radiologie dell’Univeristà di Palermo – le sezioni lignee sono state “affettate” in molti strati sub-millimetrici che, rielaborati dal calcolatore, hanno fornito immagini tridimensionali ed indicazioni sulla struttura interna del legno esaminato. Le immagini ottenute sono state ricostruite e rielaborate in modelli tridimensionali e su piani diversi da quello dell’acquisizione Per poter ricavare informazioni dettagliate di specifiche aree del fasciame, è stato necessario rivalutare il volume da diversi angoli. Abbiamo così anche potuto visualizzare il percorso effettuato dai chiodi all’interno del legno per collegare i pezzi della nave, o comprendere il tipo di materiale impiegato al tempo, quale ferro e altro, fornendo così il nostro supporto archeologico sulle metodologie utilizzate. Tutto questo senza scomporre i vari pezzi, aspetto importante che apre la strada a numerose altre applicazioni”.